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« il: 05 Agosto 2012, 08:51:23 »
Come forse avete visto nella sezione "Vendo", mio cugino vende l'Aprilia con tutta la attrezzatura. Aveva ripreso dopo un fermo di molti anni e, come me, aveva pensato di poter godere di qualche ora di libertà semplicemente prendendo la moto e via. Anche se avevo avuto modo di spiegargli che adesso era dura, che le colline erano cementate, sbarrate o tabellate, pensava che comunque avrebbe potuto divertirsi su qualche sterro o su qualche vecchia mula. ma gli sterri sono soggetti a vigilanza strettissima e caparbia, e le mule se l'è mangiate il bosco.
Rimango da solo, isolato per cooordinate geografiche e per tipologia di mezzo. E penso che forse avrebbe più senso fare lo stesso. Ieri ho passato un'altra giornata con la Bastarda, in solitudine cercando percorsi...percorribili. Per ritornare prostrato dalla calura e dalla ennesima realizzazione che tutto il fattibile sono sempre e solo strade percorribili anche in auto, oppure viottoli che portano a un podere, un rustico, perfino a una cava di pietre. Strade cieche in una terra cieca, che ha consacrato sè stessa e la propria dignità al Dio Prosecco, alla semplicità del divieto anzichè della razionalizzazione, alla politica del "mio e me lo tengo stretto", monumento alla fame atavica che queste popolazioni stanno cercando di rimuovere con feticci materiali, permeando di ignoranza a 360 gradi tutto quello che non è possedibile in modo concreto. Aiutate in questo da amministrazioni che di tali novelli "Don Gesualdi" hanno un disperato bisogno per essere meno caracollanti nella bufera di correnti, movimenti fancazzisti e altri disperati che cercano di avanzare diritti differenti sulle stesse proprietà gelosamente custodite.
Realtà in cui ci si muove tra rumori di motosega, trattori che portano giù enormi pietre-tronchi-tegole affermando palesemente il concetto che vantando un diritto di possesso si può far qualsiasi cosa, e gli altri non devono metterci il naso. Un formicaio operoso dove, per assurdo, l'unico a mostrare la propria legalità è il fesso che lentamente si sposta sulla sua moto in mezzo a un mare di irregolarità conniventi. L'unico che non compie illeciti, e l'unico braccato, smazzolato ed esposto al pubbblico ludibrio.
Un attimo di stizza mi pervade ogni volta che vedo un inizio di percorso delle "moto ecologiche", una traccia netta che si inerpica perpendicolare dal bordo della sterrata, per proseguire perdendosi nel vietatissimo bosco. Ogni tanto si incrocia qualcuno di questi Robin Hood, cavalcano buffi pony improbabili nella foggia e nella funzionalità, limitata ad uso talmente specifico da ricordare più una cyclette che una motocicletta. Ti incrociano a gomiti larghi, ondeggiando qui e là, poi di colpo alzano la testa, identificano un punto di attacco e violà, colpo di gas e si inerpicano sul tterrapieno per scomparire tra le felci. Di loro rimane per un attimo solo l'odore di olio bruciato, poi solo le sgasatine tra i faggi e i rovi. Io rimango sulla striscia bianca a rimuginare.
Continuo a considerare le mie uscite un rapporto molto stretto con la moto, anche se da qualche anno ho imparato che la scarsa forma fisica offre il tempo di guardare una vallata o la luce che gioca con le foglie degli alberi. Ma è la moto il motivo per cui esco. Da qualche parte ho letto che così fa chi praqtica o proviene dal cross. Un rapporto meno mediato, più intimo col mezzo. Forse è così. Ma è così che a me piace. Sia pure su tornanti bitumosi, o su una striscia che si snocciola pigramente seguendo un fondovalle, per me conta l'andare scandito dal ritmo dei pistoni, dei giri di ruota, gli spostamenti del corpo e i sibili dinamici nella visiera semiaperta del casco. E non ci vedo nulla di mostruiìoso, esecrabile, sconveniente, criminale, offensivo, lesivo. Monto pneumatici artigliati, sono equipaggiato con un terminale in alluminio e titanio, la mia sella è alta quasi un metro da terra. Questo fa di me una me**a umana. Questo mi fa pensare, oggi, di arrendermi e chiudere con l'unica passione che mi resta.