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« il: 07 Aprile 2013, 10:47:56 »
Non importa da che parte si punta la ruota, su cosa siedi, non importa il colore, la marca, quanti cilindri ha, quanti cavalli.
Andiamo in moto, dissi scavalcando la sella, Per festeggiare se succede qualcosa di buono, per dimenticare se succede qualcosa di cattivo, e se non succede niente... per far succedere qualcosa.
La Statale mi scivola sotto il sole, ancheggia fra frutteti e vigne, cerca l'Europa nel tepore di giugno. Bassano, Schio, Rovereto, Mezzocorona, Trento, Bolzano, Brixen, sto risalendo la val d'Adige da solo, come un salmone che torna dal mare, il viaggio di ritorno alla sorgente di qualcosa, vado a cercare cosa sia quel qualcosa, forse lo troverò e forse no.
Vado dove l'autostrada sta ancora nelle fiabe o nei racconti dei giornali, la vedo e non ci lascia mai, ora a destra ed ora a sinistra, nella valle di cui segna l'identità di fiumi o foreste. Oltralpe, dove si chiama autobahn, l'autostrada è un nastro di asfalto steso senza tanti collegamenti minori.
Penso questo mentre passo sotto il viadotto sostenuto da giganti grigi che trasformano per un attimo il brontolio in urlo cupo, alfabeto morse in una lingua aliena, sono muto dietro la visiera mentre percorro questa valle che spacca le Alpi a metà, anche la visione periferica è stupenda. C'è il rumore del fiume (me lo immagino) il vento del nord che scende e parla di grandi tempeste della storia, le cime battute dal gelo e dall'arsura, il profumo di segherie e di kuemmel. Vantaggio della statale. L'Isarco, la val di Fleres con i ghiacciai. Nomi antichi: Malles, Truibulain, Matreis, Steinach, Schoenberg.
Quanto è più facile viaggiare andando al nord, dove l'aprirsi ed il richiudersi continuo delle valli ti fa altalenare i pensieri e li costringe alla difformità, ti perdi e ritorni, reale, fittizio, onirico, sostanza e astrattezza, senza fine, senza filo conduttore, così a caso. Finalmente. Penso ai viaggi di Anna Karenina: Ed ella aprì lo sportello; la tempesta ed il vento le si precipitarono incontro.
La realtà è il gestire quel vento fottuto che ti prende dietro una curva, schiaffoni che ti spostano di mezzo metro anche viaggiando oltre i 120 km/h. Abeti, svincolo, paesino, lago, abeti, scorre l'Austria, sta per arrivare l'Ungheria... Come sono finito qui?
La fuga al nord inizia venerdì11 giugno, pistonata tra le valli note, mai cartina, si va a memoria, si annusa la strada e la si riconosce, compagna ma non amica, io qui e lei lì, insieme stesse curve ma rimanendo distinti. In questa breve galoppata andata e ritorno ho voluto trattarmi bene, mi sono preso anche il lunedì, voglio andare a vedere come funziona l'altro mondo mi dico, ma forse voglio solo imbrogliare le carte.
Non calcolo attentamente i chilometri e la strada da fare. Da Arabba strada statale e poi ad Innsbruck virata a destra, allungando di molte ore che valgono la pena, riscendendo fino a Leoben tra i boschi dello Steyermark su asfalti desertici e perfetti, inorridendo all'idea dell'autobahn che ormai ho consumata con la macchina... voglio entrare presto in Ungheria per poi arrivare alla mia boa, Budapest. Quando, è ormai buio, vedo i ponti del Danubio, non so perchè ripenso ai treni per Auschwitz. Ma tanto oggi non ho mai saputo il perchè delle cose a cui ho pensato, che mi sono ritornate su da un pozzo chissaddove. Oggi va bene così.
Qui il tempo sembra fermarsi. Le ore non hanno più senso, le giornate ormai si sono dilatate, elastiche, le modello a mio piacimento, larghe strette lunghe corte, sul ritmo che definisco al momento aiutato da un sano menefotto e da nient'altro. Mi sveglio intorno alle 8 del mattino e vado a dormire dopo la mezzanotte, ma mentre lo faccio non ci penso. Che mangio, dove dormo? Lo saprò.
Solo oggi comprendo il motivo, il mio non è stato un viaggio, è stato un vagabondaggio, magari con le Sportec al posto di un paio di scarponi malconci, ma sempre un vagabondaggio. Non ha il risucchio della fine, l'accelerazione terminale che ti travolge, esiste solo la certa assolutezza di quel che hai intorno, che rimarrà quando il rombo del motore si sarà affievolito in lontananza. Persino la luna quella sera sembrava ferma.
Me ne accorgo sulla strada per Graz, direzione Sud, ritornando è cambiata totalmente la maniera di andare: l'assenza di una meta, l'inesistenza di un ritmo, l'andare in cerca di un chissadove, il cercare di non tornare mai mi ha portato fuori dal tempo. Verso Budapest ogni tappa era una appassionata bevuta di sensazioni esteriori verso l'est, qui no, ogni tratta è un viaggio a sè. Uno spazio che si apre al mattino e si chiude con il lancio degli stivali sul pavimento della stanza d'albergo. Mucche pezzate, pecore, pioggia, fiumi che si gonfiano da una sera al mattino successivo, campanili a cipolla, vecchi ricordi asburgici, le ragazze col Dirndl, i ragazzi sorridenti nella loro aria che sa di fieno caldo.
Rosso di tramonto, la strada di casa.
Quando riparto????