Giorgio Rivola, da MotoSprint n° 4, 2014:
Nel 1976 ricevetti una telefonata dal mio caporedattore che mi chiedeva di recarmi a Bologna per provare e fotografare una nuova Yamaha 500 monocilindrica a 4 tempi.
"Vedi un po' tu - mi disse - se vale la pena di darle un certo risalto o no".
Il mio collega nutriva evidentemente un po' di scetticismo su questa scelta della Yamaha, ed era ben comprensibile, visto che dal 1969, ossia da quando la Honda aveva presentato al Salone di Milano la Cb 750 Four, l'idea di acquistare una mono 4T di cilindrata medio-alta (allora) sfiorava al massimo qualche raro nostalgico di tendenze masochiste. Mi recai dunque a San Lazzaro di Savena, localita' "Palazzetti", sede della Italjet che per prima aveva ottenuto la licenza di importazione delle motociclette Yamaha. Leopoldo Tartarini, ex corridore di ottima levatura e autore di un giro del mondo nel 1957 in sella a una Ducati 175, era il titolare della Italjet, azienda da lui stesso fondata, e io lo conoscevo personalmente da dieci anni, da quando cioe' avevo acquistato direttamente nello stabilimento di San Lazzaro la prima Italjet-Triumph Grifon 650 prodotta. Non mi fu quindi difficile ottenere da Tartarini il permesso di effettuare una brevissima prova della nuova moto, la Xt 500, nell'area esterna privata della fabbrica , visto che l'omologazione in Italia non era stata ancora completata.
Il mio ospite era in realta' un po' titubante perche' temeva che potessi farmi male mettendo in moto il motore, ovviamente ancora privo di avviamento elettrico, e mi diede qualche consiglio sul tema, avvertendomi che i mono di quella cubatura erano in genere piuttosto recalcitranti e non di rado la gamba "avviatrice" del motociclista ne subiva le antipatiche conseguenze.
Io pero' potevo vantare anni e anni di esperienza accumulata nell'avviamento a pedale o a spinta; piu' volte mi era capitato di dover mettere in moto le Moto Guzzi Falcone e Astore 500 (relativamente facile), le Gilera Saturno 500 (piu' difficile), e le Ducati 250-350-450 Scrambler (facile o difficilissimo a seconda dell'umore del motore...).
Cosi', dopo un paio di tentativi indispensabili per affinare la tecnica in relazione alle particolari esigenze di quel mono, non ebbi difficolta' ad avviare la Yamaha 500 Xt e immediatamente constatai con meraviglia che teneva il minimo con insolita' regolarita' (a confronto degli altri motori di simili caratteristiche) e che le vibrazioni erano nettamente inferiori alle aspettative.
La buona impressione divento' ottima dopo il primo assaggio in marcia: frizione morbida, acceleratore ben dosabile, coppia sostanziosa, rapporti del cambio correttamente distanziati, rombo pieno e gradevole, anche se un po' troppo represso, maneggevolezza formidabile, frenata...cosi' e cosi'.
Con la Xt fu amore a prima vista. A me non piacciono le moto troppo specialistiche, quelle che devono essere condotte in un solo modo per dare soddisfazione. Amo invece quelle che mi lasciano scegliere, in funzione del luogo, del desiderio del momento, o dell'improvvisa ispirazione, come guidare, dove andare, come divertirmi e quanto sfogarmi. La Xt in questo senso era fatta proprio per me: pronta a tutto senza pretese.
Terminata la prova chiesi quindi a Tartarini:"Me la vende subito?"."Ero sicuro che ti sarebbe piaciuta - rispose - ma questa ci serve per l'omologazione
e ha gia' ricevuto tante strapazzate dai miei collaudatori. Ti prometto che la prima che arriva in Italia per la vendita e' la tua".
Tornai a Faenza e andai dal mio amico Eugenio Dotti, concessionario Honda e Yamaha, che stava vivendo un momento di intensissima e assai redditizia attivita' commerciale con le meraviglie giapponesi che esponeva nelle sue vetrine. Lo informai del mio acquisto e lui mi guardo' con un certo compatimento, poi commento': "Tu sei un vero appassionato, ma queli come te sono pochissimi. Le moto che la gente vuole comprare devono avere quattro cilindri, non uno solo. Vorra' dire che l'unico ad avere una Yamaha Xt 500 a Faenza sarai tu".
Sbagliava e se ne rese conto assai presto, quando esplose il boom della Xt 500 e delle sue successive versioni. Ne vendette una marea...
La mia arrivo' presto e Dotti mi assicuro' che era la prima arrivata in Italia. Non ho mai potuto verificare ma potrebbe anche essere.
Fino a quel momento non avevo praticato molto il fuoristrada, o meglio, mi ero avventurato su strade di ogni tipo, ma sempre con moto e pneumatici stradali, quindi i loro limiti emergevano molto presto. Il bello dell' off-road lo scoprii con la Xt, che la definizione ufficiale classificava come "enduro", ma che in realta' spaziava anche oltre, fino ad un trial "morbido", consentito da quella consistente coppia a basso regime che i due tempi enduro non conoscevano. Con quella moto e con i suoi 32 Cv sempre disponibili viaggiavo agile e veloce su strada asfaltata fin quando il mio sguardo veniva rapito da uno scorcio di panorama particolarmente affascinante. A quel punto, che ci fosse la strada sterrata, o anche solo un sentiero, oppure un prato o un campo di zolle, mi ci avventuravo comunque con la ferma intenzione di raggiungere in moto il mio obiettivo. La Xt mi assecondava quasi sempre. Quando non lo faceva era solo colpa mia che le chiedevo l'impossibile, viziato da cio' che mi permetteva normalmente di fare. Una volta mi inoltrai lungo un sentiero, largo giusto per un escursionista a piedi, che era tagliato orizzontalmente sul fianco di una collina molto ripida che scendeva fino al fiume. Non sarei riuscito in alcun modo ad invertire la marcia in caso di bisogno, ma andai avanti convinto che prima o poi uno spiazzo l'avrei trovato. Invece trovai un robusto e invalicabile sbarramento che delimitiava un pascolo.
Ero molto lontato da qualsiasi casa, i telefonini non esistevano ancora. Che fare? Vidi sul fiume un pescatore, lo chiamai e il sant'uomo si arrampico' fino a me, poi, insieme, riuscimmo, a rischio di farla precipitare in basso, a voltare la moto. Grazie.
Nel fuoristrada quasi trialistico- quello che piu' mi divertiva - l'unico vero problema della Xt, che superava anche duri ostacoli grazie alla possibilita' di affrontarli a velocita' ridottissima guidando in piedi, era l'antipatica abitudine di spegnersi con uno "schioff" nel momento piu' delicato dell'operazione. Un rifiuto del carburatore, e ti trovavi bloccato spesso in equlibrio molto precario. No problem: se riuscivi ad evitare una caduta (ed il peso di soli 130 Kg della moto, unito alla sella stretta e alla magrezza della struttura ti dava una grossa mano in questo senso), rimettevi in moto e ricominciavi daccapo. Ma se stavi avanzando lungo costa senza sentiero, con una bella pendenza sulla sinistra e la montagna a destra dove c'era la leva della messa in moto, allora erano guai seri: non c'era spazio per azionare la leva di avviamento e si offrivano solo due alternative: o andare avanti spingendo la moto se questo era materialmente possibile, fino a trovare un punto piu' largo, oppure affrontare il terreno scosceso lanciandosi verso il basso e sperando di riuscire a controllare la moto.
Tenni la Xt per alcuni anni con la massima soddisfazione, poi, sempre scegliendo una moto polivalente pero' piu' prestante e piu' adatta al turismo in coppia, passai a una Bmw R 80 Gs. Ma la versatilita' e l'agilita'della Xt non la ritrovai mai piu'.
Lo spaccato dell Xt 500 mette in evidenza il grosso mono a quattro tempi e le scelte tecniche. Nel 1976 appariva controcorrente:

Una vita lunga ben tredici anni:
Yamaha Xt 500-C del 1976, priva dei soffietti alla forcella:

versione F del 1979 con paramotore piu' ampio:

Il ciclo della Xt 500 si chiude nell'89 con la Anniversary, che celebra la fine della produzione:
