@ alex: tempo fa ho scritto un piccolo racconto che mi pare abbia atmosfere simili e che avevo intitolato "Verso Est", se non ti da fastidio, proprio per quelle atmosfere simili di cui dicevo lo posterei qui, se non ti va dimmelo senza problemi, mi raccomando.
La moto è pronta, caricata, controllata, ripulita e tirata a lucido, gomme gonfiate, tutto è ok, sono io che non sono pronto, sono parecchi anni che non faccio viaggi in moto così lunghi e poi, non so se faccio bene a tornare là. Io e Giove ci siamo messi d’accordo in fretta, siamo sempre andati molto d’accordo fin dai tempi che furono, ci siamo sentiti al telefono, abbiamo organizzato la cosa, contattato gli altri e con molto entusiasmo, li abbiamo trascinati con noi. Stamattina Giove è qui col suo T Max, che non è proprio una vera moto, anzi non è una moto, però lo spirito di Giove è quello giusto, di uno che vuole viaggiare e scoprire, anche lui ha caricato solo lo zaino sul di dietro della sella e sembra avere dentro tutto il suo mondo o lo stretto indispensabile. La mia Bandit 1200 affianco al suo T Max svetta e ci fa la sua porca figura, siamo partiti presto stamattina, abbiamo preso subito l’autostrada in direzione Est. Sembra quasi come in certi film ambientati in USA, quando uno dei protagonisti chiede all’altro dove stia andando e quello risponde:”Vado ad Est!”, ecco noi andiamo là, nel vecchio Est. Ogni tanto mentre guida, Giove rallenta,pela il gas ma tiene un’ andatura abbastanza sostenuta nonostante guidi uno scooter del cacchio, lo affianco, lo guardo in faccia e ha la stessa espressione di 25 anni fa sotto all’elmetto, gli stessi occhi azzurri, chissà se pensa la stessa cosa di me, all’epoca io non avevo il pizzetto. Ci fermiamo ad una autogrill e Giove non si smentisce mai, tirchio come un genovese mi ferma e mi dice “Perché spendere soldi?” Tira fuori dalla tasca laterale dello zaino il thermos del caffè caldo! “Porcaputtana Giove, sei tirchio da fare schifo! Dai vieni che ti offro almeno una brioches!”. Ripartiamo e giungiamo in prossimità dello svincolo che porta alla città, sappiamo dove andare anche se le strade sono cambiate con gli anni, alla prima visione da lontano della struttura, mi stupisco nel trovare l’ingresso sempre identico a com’era o almeno così mi pare, come un tempo campeggia il campanile a sinistra dietro alla recinzione, sulla destra c’è lo stemma di allora “Airborne” il leone di Venezia e il tricolore rosso, bianco, blu. Vorremmo entrare ma non possiamo più, è ovvio. Io e Giove ci guardiamo e lui mi spinge a pensare:”Ti ricordi la flash-bang room?!”. Ride come un matto e sembra un idiota che abbia appena sparato una cavolata, ma dovrei ridere io, quel pirla a momenti non usciva più di là, preso dal panico, accecato e assordato si era pisciato nei pantaloni, ma come tutti noi del resto, il rumore istantaneo provoca reazioni incontenibili che non riesci a controllare e ti portano istintivamente a spingere sulla vescica, ci vuole solo l’abitudine, l’abitudine a pisciarsi addosso e a non farci caso. Indossiamo i caschi e dopo questa vista della “nostra” caserma ripartiamo, in silenzio come siamo arrivati. In mattinata giungiamo all’appuntamento e all’arrivo intravedo due sagome sbilenche di uomini che aspettano, uno è appoggiato ad una specie di moto bassa come un cesso viaggiante, è Maxi, il nostro grande capo col culo sulla sella di una HD e Marino a lato di una Gs 1150. Scendiamo dalle moto, parcheggiamo e le prime pacche massicce di Maxi si abbattono sui caschi e sulle spalle. Con Marino e Giove che sparano stronzate di ogni tipo e poi confabulano sulla strada da prendere come se dovessero decidere tutto loro, io e Maxi ci scambiamo saluti, sorrisi, insulti amichevoli “cazzoneparaculofinocchio” e quant’altro faccia parte del repertorio maschile dei convenevoli, nel giro di mezz’ora siamo pronti a ripartire, io ho il culo un po’ squadrato dalla sella ma l’entusiasmo dei miei amici mi convince a muovermi con molta determinazione, se ritardassi un filo mi lascerebbero qui quegli stronzi. O forse no, non l’hanno mai fatto. Dopo un percorso molto guidato e molto bello, riprendiamo l’autostrada verso Nord: destinazione “il corridoio” lungo il quale campeggiava il nostro accantonamento. Una delle caratteristiche di questo paese è di avere delle autostrade fantastiche, con asfalto perfetto e non ci sono limiti di velocità, troviamo solo del gran casino in prossimità della grossa città, presso la quale comunque ci fermiamo per cenare e dormire. Giove e io siamo in una camera, Maxi e Marino nell’altra. Avremmo dovuto essere in sette ma di Ettore non si sa nulla, non ha neppure risposto alle mail, tipico del suo modo di fare salvo che poi magari un giorno ci dirà che dovevamo cercarlo meglio, manco fosse una gran donna, Marco invece è all’estero (credo che lui sia l’unico a non avere mai mollato, ha fatto diventare la sua preparazione un lavoro ben retribuito nel “circuito”, pare che ora faccia l’istruttore, così ci ha detto Maxi) e Rigo si è defilato per impegni famigliari non meglio specificati, forse non aveva neppure piacere di risentirci. Sensazioni. Noi quattro comunque siamo gli unici ad andare in moto, se ci fossero stati gli altri saremmo andati in auto, con due macchine. La mattina ci svegliamo affamati come quattro pirla in moto affamati, addentiamo il formaggio e gli involtini al prosciutto prima del pane e Maxi, mangia tre uova sode come fossero cioccolatini, ha sempre mangiato molto più di me ma lui non ingrassa ed è una cosa che mi fa girare le palle alla grande questa. Maxi è Maxi, unico anche nel farti incazzare, è un uomo intelligente dal QI inarrivabile, ci ha tirato fuori dai casini più di una volta, non potrei volergli male e soprattutto, non lo desidero. Lo guardo salire sulla HD 1340 e un nome con una sigla lunga come un treno, mi affianco e gli chiedo “Ma da quando guidi queste moto?”. Mi risponde che è di suo fratello, lui la moto non ce l’ha. Suo fratello è uno che è stato rapito a scopo di estorsione, ricordo le foto sul giornale di Maxi all’aeroporto che sorregge il fratello appena liberato dai rapitori. Figlidiputtana. Il viaggio è lungo indubbiamente, le moto girano regolari e tutti e quattro, siamo affiatati e abbiamo voglia di arrivare alla meta, non piove e non fa eccessivamente freddo . L’esperienza di venticinque e più anni fa è stata forte, ritrovarci qui anche se in formato ridotto, ci fa rivivere in parte le emozioni di un tempo, il senso di appartenenza che sentiamo non essere mai morto...
Ci fermiamo due notti, scattiamo foto e visitiamo strade e luoghi che non sono nulla di più che strade e luoghi normali di una cittadina che una volta era al confine del mondo. La sera ci sediamo a mangiare in un locale che una volta era frequentatissimo e dentro al quale parlavano solo in inglese, ora non più. La sera scende ancora uguale come un tempo, freddo e piccole gocce bagnano ovunque. Al mattino ci svegliamo, piove sempre come allora...
Infiliamo la tuta antipioggia e il casco, accendiamo le moto e ce ne andiamo. Non so dire esattamente perché sia venuto qui, ma credo che ci tornerò, col tempo, appena trovo il vero motivo per cui venire qui.