Diciamo che eravamo abituati bene dalle case produttrici europee che costruivano moto con passione ed orgoglio, sono di esempio le innumerevoli case costruttrici di moto da fuoristrada italiane degli anni settanta, dopodiche' si assistito all'arrivo delle grandi multinazionali giapponesi che hanno decretato la fine delle case semi-artigianali, lasciando spazio all'industrializzazione di un prodotto di.larga serie, facendo diventare una motocicletta una specie di elettrodomestico massificato e privo di ogni appeal e fascino.
Quel periodo l'ho vissuto in pieno e per questo non riesco a condividere la tua "romantica" visione.
Le "case" erano poco più che assemblatori e non si può dire fossero molto originali, rifornendosi più o meno (con qualche rimarchevole eccezione) tutti dagli stessi produttori, sia per la componentistica, che per i motori, che quasi tutti montavano uguali nel medesimo periodo, prima Sachs 6 marce, poi Hiro e qualche Rotax.
L'appeal e fascino andavano di pari passo con la scarsa affidabilità e l'assemblaggio approssimativo. Le giapponesi erano affidabili e ben fatte, guardare una moto da cross (nella allora regolarità le Jap erano mosche bianche) italiana e una Jap di allora era come guardare 10 anni fa una moto da trial spagnola e una Honda (Montesa).
Ho per un breve periodo in tempi recenti posseduto una SWM 347 GS Rotax, per cui già una delle ultime del marchio e l'esperienza mi ha ricordato come fossero le moto di allora. Metterci le mani per regolazioni e manutenzione mi ha depresso per quanto fosse mal ingegnerizzata e accrocchiata in molte parti
Le scarse dimensioni, inadatte a reggere un mercato cambiato dall'arrivo dei giapponesi, la spesso scarsa capacità gestionale e i motivi di cui sopra hanno segnatamente portato alla scomparsa dei marchi di allora.