All’epoca rientrava nella “normalità” che un pilota caduto e (anche) fratturato in prova prendesse “regolarmente” il via in gara. O quando dopo un pauroso volo in corsa riusciva a riprendere la propria cavalcatura e a ributtarsi nella mischia senza … leccarsi le ferite. Chi scrive queste note ha visto piloti gareggiare, dopo incidenti con fratture (braccio, clavicola ecc.) subìti nella corsa disputata due ore prima, in un’altra cilindrata. Pazzi? No. Smisurata passione (per tutti) e impellente necessità (per molti) di portare a casa … la diaria della seconda partenza …
Amarcord fa un salto indietro, nel 1965. E’ l’anno del debutto di Giacomo Agostini con la MV Agusta nelle 350 e 500. Il centauro di Lovere guida per la prima volta in corsa la mezzo litro di Cascina Costa nell’ouverture tricolore del 19 marzo all’autodromo di Modena. Vince a mani basse, senza avversari, anche se cade all’ultimo giro. Il bello avviene la settimana dopo sul tracciato rivierasco di Riccione dove per la prima volta il numero uno della MV Mike Hailwood (già quattro volte campione del Mondo, 10.000 sterline d’ingaggio annui!) fa la “brutta” conoscenza di Mino.
E’ il primo match (finirà 42 a 30 a favore di Mike) e il nuovo poulain del Conte Agusta batte il fuoriclasse inglese. E’ l’apoteosi. Divampano le polemiche. Nasce il mito di Ago. Pochi giorni dopo inizia il mondiale e Agostini, pilota straordinario e di grande intelligenza, capisce che è meglio fare una stagione di apprendistato dietro l’illustre caposquadra. Ma nella corsa più dura e blasonata, al Tourist Trophy dell’Isola di Man, arriva l’occasione per il colpaccio.
A metà gara, in una giornata del diavolo (acqua, grandine, nevischio e nebbia), Hailwood al comando delle 500 incappa in una spettacolare caduta sui 200 all’ora. Evita miracolosamente alberi, pali e muretti e dopo una lunga strisciata sull’asfalto finisce fra il pubblico assiepato ai bordi del micidiale tracciato. Mike, disteso sull’asfalto sotto la pioggia battente, è stordito, ha la tuta a brandelli, il rosso del sangue marca il nero del cuoio. (Solo più tardi si saprà di quattro costole, un dito della mano e due dita del piede fratturati, oltre alle escoriazioni varie).
Qualcuno gli porge una boccetta di whisky, gli passano una… sigaretta accesa, tutti lo acclamano e lo incitano. La notizia che Agostini ha nel frattempo guadagnato la testa della corsa lo spinge come una molla a rimettersi in piedi e a sollevare la moto (la MV 500 4 superava i 200 kg!) per tentare di ripartire. Il motore è fumante e la moto gronda olio e benzina. Il plexiglass della carenatura è a pezzi. Quel che resta viene eliminato con un paio di pugni. A calci il pilota raddrizza il manubrio ed elimina la leva del freno posteriore, penzolante.
Sale in sella, lo spingono in discesa ma il motore recalcitra. Poi finalmente l’urlo rabbioso della “quattro”, anche se la plurifrazionata italiana “perde” un cilindro e viaggia, per i primi chilometri, a “tre”. Alla fine della corsa mancano tre giri (al Classic TT un giro corrispondeva a Km 60,270 !!!) e Mike si getta a capofitto (monogomma Dunlop, la stessa per asciutto e bagnato)) nei dislivelli del Mountain.
Una danza infernale, una mirabile pittura. Quando si dice l’arte di correre in motocicletta! Hailwood lima i muretti in mezzo ai paesi, si arrampica (fino a 750 metri di altezza) nei tornanti in salita fra il nevischio; allo Snaefell una folata gelida dei venti del nord lo ributta quasi a terra; torna a saltare sulla schiena del Ballaugh (sui 220 Kmh); poi giù al “Governor’s Bridge”; infine a 249 kmh piomba sul dritto di Douglas.
Un altro giro così ed è record sul bagnato: 166,500 kmh! (Riguardatevi il giro record di Shanghai sull’asciutto con le 800 MotoGp …). I meccanici della MV sono allibiti. Il pubblico è tutto in strada ad agitare ombrelli, fazzoletti e bandiere. Uno dopo l’altro Mike agguanta i fuggitivi. Un recupero su Agostini in testa, di quasi … 5 minuti!
E’ l’ultimo giro. Agostini è nel mirino, ancora pochi secondi ed è il sorpasso. Ma la quattro cilindri dell’italiano s’ammutolisce e l’inglese vola verso il trionfo e verso il suo quinto titolo iridato. Tagliato il traguardo, Mike sviene fra le braccia dei meccanici.
Una corsa mozzafiato, di cuore e audacia saldati con la tecnica più raffinata e l’intelligenza più viva: un esempio di straordinaria volontà, di indomito coraggio, di voglia di vincere. Questo era “Mike The bike”, il re della massima cilindrata, il fuoriclasse capace di meravigliare sempre e di vincere spesso in tutte le cilindrate, (50, 125, 250, 350, 500 GP e 750 Sbk, con motori a 2 e 4 tempi, monocilindrici, bicilindrici, tre, quattro, cinque, sei cilindri!), 9 volte campione del mondo in moto, un grande anche in auto, un vero gentleman. Forse, con Tazio Nuvolari, il più grande campione del motociclismo di tutti i tempi.
[Massimo Falcioni]